PREISTORIA Introduzione | I primi modenesi | Paleolitico | Mesolitico | Neolitico ed eneolitico | Età del bronzo: le Terramare
Pescale (Prignano), Spianata del Castellaro. Tra la fine del 5° millennio e la metà del 3° si sviluppò una comunità preistorica
Le più antiche tracce della presenza dell’uomo nel
modenese (reperti rinvenuti in pianura e in collina, soprattutto nei Comuni di
Spilamberto e Castelvetro) risalgono a non più di 200.000 anni fa, all'età
paleolitica, o della pietra antica.
L’Appennino, invece, ha restituito poco materiale, e
il più antico non risale a più di 10.000 anni a.C. (Mesolitico).
A
Pescale, nel comune di Prignano;
dove il fiume Secchia riceve le acque del rio Pescarolo, sorge una spianata,
detta del Castellaro, dove tra la fine del 5° millennio e la metà del 3° si
sviluppò una comunità preistorica.
Nei primi '90 nelle valli del
Dragone, Dolo e Rossenna sono stati identificati alcuni luoghi dove
sorgevano villaggi risalenti all'età del Bronzo (1.700-800 anni a.C.): nel
Comune di Palagano a Monchio (S. Giulia), a Costrignano (La Campagnola) e a
Poggio Bianco Dragone; nel Comune di Montefiorino a Montestefano, al Calvario e
nei pressi della Rocca; nel Comune di Frassinoro a S. Biagio; nel Comune di
Polinago a Monte S. Martino.
Non è possibile tuttavia escludere che uomini siano
vissuti, o transitati, nel modenese, compreso l’Appennino, in epoche più antiche
a quanto indicato da così limitati ritrovamenti. Frecce e coltellini in selce
trovati sul monte Cimone testimoniano che in epoche preistoriche uomini si
spinsero anche ad elevate altitudini.
Da dove arrivarono i primi abitanti del modenese? E’
possibile solo azzardare alcune ipotesi.
Si ritiene di poter scartare la discesa
da nord in quanto la catena delle Alpi doveva rappresentare un ostacolo praticamente
insormontabile.
Anche la via del mare, richiedendo mezzi adeguati
per la navigazione, verrebbe esclusa.
Un'ipotesi ritiene che i primi "modenesi" potessero
provenire da oltre Adriatico, attraversando aree, oggi sommerse, ma
allora terra ferma che collegava la pianura padana alle coste della ex-Jugoslavia. Infatti, durante la glaciazione il livello del mare era più basso
di almeno un centinaio di metri.
Di queste epoche preistoriche mancano, ed in
particolare nell’Appennino, ritrovamenti sufficienti e tali da poter giungere a
conclusioni più certe.
Eventi geologici e climatici (basti pensare alle
glaciazioni e ai successivi periodi post-glaciali) hanno provocato la
dispersione e la distruzione di molto materiale, sommerso e il trascinamento a valle,
lontano dalle zone di origine. Nel sottosuolo della pianura padana il materiale
di provenienza appenninica ha costituito uno strato di circa 2 Km di spessore in
cui le tracce di eventuali abitanti della montagna sono andate disperse o
distrutte ed ha seppellito altro materiale della collina e della pianura.
Con probabilità le genti preistoriche si stabilirono
inizialmente lungo i corsi dei fiumi, per primi il Secchia ed il Panaro,
addentrandosi sempre più nel territorio lungo il corso degli affluenti.
La collina e la pianura, in quanto aree più
favorevoli, furono maggiormente popolate, mentre la montagna potrebbe essere
stata sede di insediamenti periodici o stagionali ed area di transito e di
caccia.
Paleolitico
(900.000-13.000 a.C.)
Il Paleolitico (o età della pietra antica) è un
lunghissimo periodo suddiviso, schematicamente in inferiore, medio e superiore.
Il Paleolitico Inferiore (900.000-100.000 anni a.C.),
periodo con clima temperato, sostanzialmente corrisponde al periodo
interglaciale compreso tra la glaciazione di Riss e quella di Wurm.
Il Paleolitico Medio (100.000-40.000 a.C.), invece,
è stato caratterizzato dall’ultima delle glaciazioni, quella di Wurm. Il fatto
che nel modenese e nel reggiano siano stati trovati resti fossili di elefanti,
ippopotami e rinoceronti (e in Puglia ossa di pinguino!) può aiutarci ad
immaginare l’entità dei cambiamenti climatici ed ambientali avvenuti.
Attualmente ci troviamo in un periodo interglaciale, tra la glaciazione di Wurm
ed una futura.
I laghi Santo, Baccio, Turchino ed altri ancora sono
di origine glaciale, testimoni della presenza in epoche antiche di ghiacciai in
Appennino.
Gli uomini del paleolitico erano dediti soprattutto
alla caccia (utilizzando armi in pietra scheggiata, bastoni in legno, ossa di
animali...), ma anche alla raccolta ed alla concia delle pelli, attività quest’ultima
fondamentale per permettere la sopravvivenza in un clima così rigido.
Vivevano in capanne costruite con rami e pelli di
animali.
Almeno nelle età più tarde era uso seppellire i
propri morti ma nessuna traccia di queste sepolture è stata ritrovata nel
modenese.
Col passare dei secoli viene acquisita la capacità
di lavorare sempre più finemente la selce, costruendo lame ed anche oggetti
decorativi e rituali, come ciondoli e sculture.
Le tracce degli eventuali abitanti dei monti sono
andate in gran parte distrutte trascinate a valle e disperse nel periodo
post-glaciale, che terminò circa 10.000 anni a.C. a cui seguirono profonde
trasformazioni ambientali.
Reperti archeologici riferibili all’età paleolitica
nell’Appennino non ne sono venuti alla luce, a differenza della collina e
pianura.
Nelle zone di Savignano, Vignola, Spilamberto e
Castelvetro, invece, sono stati trovati raschiatoi, schegge, punte di frecce,
amigdale oltre ad una scultura:
la Venere di Solignano, una delle più
importanti creazioni artistiche paleolitiche.
Le tracce più antiche della presenza dell’uomo nel
modenese sono due
amigdale trovate a Spilamberto (Collecchio)
e a Castelvetro (Mesiane), risalenti a circa 200.000 anni fa. Le amigdale erano
strumenti ottenuti scheggiando ciottoli conferendo la forma di grossa mandorla,
forma ideale per essere tenute in mano, ed utilizzate come arma da lancio, da
taglio, martello ed ascia. Furono manufatti talmente efficaci e versatili tanto
da essere utilizzati e perfezionati per migliaia di anni.
(Mesolitico
(13.000-8.000 a.C.)
Alle glaciazioni, che hanno stretto nella morsa del
freddo e del gelo l’Europa per quasi un milione di anni, seguì un periodo di
clima temperato che portò a progressive e profonde modificazioni nella fauna e
nel paesaggio. Le quote appenniniche si abbassarono (c’è chi dice anche di 600
metri), in pianura le foreste cedettero il posto a boschi di latifoglie e in
Appennino si sviluppò una prateria alpina che favorì la l’ingresso degli uomini
e la tendenza a permanervi più a lungo.
L’uomo continuò a vivere soprattutto di caccia, ma
di tipo diverso (mammut, bisonti e renne lasciarono il posto ad animali di più
piccola taglia: cervi, caprioli, buoi selvatici, cinghiali...), e di raccolta,
in un ambiente simile all’attuale.
Si sviluppò la produzione di oggetti da innestare su
supporti in legno o in osso con la creazione di utensili quali punteruoli,
lisciatoi, frecce, lame, grattugie.
Alcune zone, soprattutto dislocate lungo i crinali
appenninici anche nel modenese e reggiano (Passo della Comunella, Cava Due
Portoni, Campegine e altri), hanno restituito tracce del passaggio di cacciatori
mesolitici, quali frecce e coltellini.
In questi periodi, anche grazie al clima
particolarmente favorevole, avvenne uno degli eventi fondamentali per l’umanità:
oltre alla caccia e alla raccolta l’uomo apprese le tecniche dell’agricoltura
(importate dall’oriente) e dell’allevamento (maiale, pecora, bue, capra), oltre
alla capacità di modellare argilla per realizzare ceramiche, di tessere e
lavorare la pietra e l’osso, creando strumenti sempre più perfezionati e
levigati.
Le abitazioni erano rappresentate da capanne a base
rotonda od ovale costruite utilizzando un’armatura di legno e di argilla.
L’attività agricola favorì il sorgere di comunità
sempre più stabili (mentre in epoche precedenti lo stile di vita era
necessariamente di tipo nomade), oltre allo sviluppo del commercio e di attività
artistiche.
L’uomo, quindi, progressivamente cessa di essere
nomade e dipendente da quello che gli fornisce spontaneamente la natura ed
inizia a produrre cibo e a modificare l’ambiente a proprio favore.
Anche la maggior parte dei reperti di questo periodo
sono stati rinvenuti in pianura e collina (Fiorano, Pescale, Maranello,
Formigine, Spilamberto, Casinalbo), e comprendono ceramiche, fondi di capanne e
tombe.
Il più antico ed importante insediamento umano
documentato nel modenese è quello di Fiorano.
Di interesse è il
villaggio preistorico di Pescale, nel
Comune di Prignano, dove comunità umane vissero per almeno 3.000 anni.
In Val Dragone sono venuti alla luce alcuni oggetti,
risalenti al neo-enolitico finale, a Monchio, in località S. Vitale, a
Piandelagotti nei Prati di S. Geminiano e a Ca’ dei Ravani (punta di freccia), a
Frassinoro (accetta di pietra verde levigata).
Anche in altre zone montane sono venuti alla luce
materiali neo-eneolitici, ad esempio a Roccapelago e Fiumalbo (punte di frecce),
nell’Appennino reggiano (Casina, Villa Minozzo, Monte Misura), Monte Cusna e
Monte Cimone (punte di freccia, coltellini, lamette, raschiatoi ottenuti da
piccole schegge di selce).
Il II millennio a.C. è il millennio del vero
popolamento della collina e della montagna. Pecore, buoi selvatici, cinghiali,
cervi, orsi, lupi, lontre, castori esercitarono un forte richiamo per i
cacciatori. Gruppi di pastori si spinsero lungo le valli del Dragone e del Dolo,
probabilmente staccandosi da insediamenti che già da tempo esistevano in
pianura, come le comunità agricole di Fiorano, e le Terramare.
Un’altra importante "rivoluzione" che permise
profondi cambiamenti nella società umana (come era gia avvenuto con la scoperta
del fuoco e dell’attività agricola) fu la messa a punto di tecniche di
estrazione e lavorazione dei metalli. Queste acquisizioni avvennero proprio
nell’età eneolitica e vennero elaborate tecniche, anche complicate, per la
lavorazione dei metalli, che già erano stati utilizzati, occasionalmente, anche
in età neolitica ma trattati a freddo.
Si viene a delineare la possibilità della comparsa
di "personale specializzato", di metallurghi itineranti, contemporaneamente
artigiani e mercanti.
Età del bronzo
(1.700-800 a.C.): le Terramare
Inizialmente il
popolamento nel modenese fu abbastanza contenuto (almeno se lo rapportiamo alla
scarsità di testimonianze in nostro possesso) per aumentare notevolmente nei
secoli successivi, specialmente in collina e in alta pianura, forse in seguito a
colonizzazione da parte di popoli conoscitori di tecniche di costruzione
avanzate che portarono alla nascita delle Terramare. Verso la fine dell’Età del
Bronzo si verifica un certo declino e la popolazione si riduce nuovamente.
Tra il 1.600 e il
1.300 a.C.. si sviluppò la cosiddetta "cultura terramaricola" che si diffuse
nell’emilia ad ovest del Panaro e nella Lombardia sud-orientale. Sorsero
numerosi villaggi, estesi per migliaia di metri quadrati, con una struttura
complessa ed imponente: le Terramare, che rappresentano nel modenese la
documentazione più importante dell’età del Bronzo.
"Terramare" deriva
dal termine dialettale "Terre marne", cioè terre grasse, con il quale i
contadini del secolo scorso chiamavano grossi depositi di terriccio nero e
fertilissimo utilizzato nella concimazione dei campi. In realtà queste
collinette di terreno, sparse per la pianura, altro non erano che quanto
rimaneva di antichi abitati dell’età del Bronzo distrutti e sepolti.
Le Terramare erano
villaggi, con un’estensione anche di parecchi ettari e quindi in grado,
presumibilmente, di accogliere varie centinaia di persone, caratterizzati da
potenti difese costituite da un alto argine in terra, pali di legno e un
fossato. Crebbero sia come numero che densità sul territorio fino a costituire
una fitta rete che occupava capillarmente la media e alta pianura, la collina e
anche la media montagna. In quei secoli si raggiunse uno sviluppo demografico
nettamente maggiore di quello di qualunque altro periodo precedente.
Le attività
prevalenti erano la produzione di ceramica, la lavorazione dell’osso, del corno,
del legno, dei tessuti ed anche della pasta vitrea. Era conosciuta e sviluppata
anche l’industria metallurgica, con la produzione di utensili e armi in bronzo.
Gli scavi hanno permesso di stabilire che alla base dell’economia terramaricola
stavano l’agricoltura, in particolare quella cerealicola, la pesca e
l’allevamento di ovini, bovini e suini, la caccia e la raccolta.
Il progressivo
affermarsi della produzione e lavorazione del bronzo determinò il concomitante
declino dell’antichissimo artigianato della selce, durato per centinaia di
migliaia di anni.
In Emilia, compreso
il modenese, sono molti i ritrovamenti (strumenti di fonderia e manufatti) a
testimonianza dell’intensa attività metallurgica, sia di produzione che di
transito e commercio di prodotti provenienti da altre zone dell’Italia e
dell’Europa centro-orientale. Luoghi di ritrovamenti sono a Savignano, Zocca,
Pavullo, Serramazzoni, Prignano, Vignola, Spilamberto, Castelvetro, Nonantola,
Castelfranco Emilia, Fiorano, Formigine ed altri ancora.
Nelle valli del
Dragone, del Dolo e del Rossenna, oltre alla spada in bronzo rinvenuta a S.
Giulia, nel Comune di Palagano, recentemente sono stati identificati altri
luoghi dove sorgevano villaggi ed in particolare nel Comune di Palagano a
Monchio (S. Giulia), Costrignano (La Campagnola) e a Poggio Bianco Dragone; nel
Comune di Montefiorino a Montestefano, Calvario e Montefiorino (Rocca); nel
Comune di Frassinoro a S. Biagio e nel Comune di Polinago a Monte S. Martino.
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