La Val Dragone nella storia
 

Età romana e tardo antica


Romani | La via Bibulca | Longobardi e Bizantini | Franchi


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Romani

La "romanizzazione" del Frignano avvenne tramite una progressiva penetrazione di coloni romani nei villaggi, da secoli abitati da Liguri, che portò ad un profondo e lento processo di trasformazione agricolo-sociale e ad un periodo di relativa pace.

Il territorio venne suddiviso in fundi (poderi) assegnati a legionari che maggiormente si distinsero in battaglia. Questa consuetudine romana è testimoniata da diversi toponimi, poichè spesso un determinato territorio derivò la propria denominazione dal nome del legionario a cui venne assegnato: così Sosius diede il nome a Susano (Sosianus), Castrinius a Costrignano (Castrinianus), Togius (o Todius) a Toggiano (Togianus) ed altri ancora.

Il materiale giunto fino a noi a testimonianza della presenza romana è piuttosto scarso e frammentario, rappresentato soprattutto da monete; persistono, invece, elementi linguistico-toponomastici quali numerosi termini dialettali ancora in uso nell’alto Appennino e nomi di paesi e località di chiara derivazione latina.

Con Selva romanesca, nei secoli passati, si indicava una vasta area boschiva di cui facevano parte anche le zone alte della Valle del Dragone

Una delle principali risorse della montagna modenese per molto tempo fu la pastorizia; Nell'Edictum de pretiis di Diocleziano si trova che la lana, semplice o lavorata, utilizzata per confezionare abiti civili e militari, anche raffinati, proveniva dal Modenese. Successivamente, il progressivo declino del grande mercato dei Campi Macri, conseguente all’affermarsi della colonia romana di Modena, portò ad un cambiamento dell’economia montana, non più basata quasi esclusivamente sulla pastorizia e l’agricoltura ma anche sulla produzione di laterizi e ceramiche, sempre più utilizzate in edilizia, anche nell’Appennino. Centri di produzione potrebbero essersi sviluppati a Rubbiano e a Vitriola.

Le Valli del Dolo e del Dragone, per la loro posizione geografica furono una zona di transito commerciale transappenninico tra l’Emilia e la Toscana di discreta importanza (a ciò farebbero pensare anche i ritrovamenti di monete), ed alcuni fanno risalire al periodo romano, o addirittura pre-romano, la costruzione di quella importante e grande, per l’epoca, strada transappenninica nota come Via Bibulca.

 

La Via Bibulca

Questa via, larga come una mulattiera del giorno d’oggi, ma notevole per l’epoca, già nominata nel diploma carolingio del 781 col nome di via nova, iniziava alla confluenza del fiume Dragone nel fiume Dolo e si portava a Rubbiano, La Verna, Serradimigni, Tolara, Frassinoro, Pietravolta, Monte Roncadello, S. Geminiano, Passo delle Radici, S. Pellegrino quindi in Garfagnana.

L’apertura della via Bibulca o Via dei Buoi (chiamata anche Via Imperiale), forse perchè abbastanza larga da permettere il passaggio di due buoi aggiogati, da alcuni viene fatta risalire all’VIII secolo, agli anni successivi la conquista longobarda della montagna modenese (728 d.C.). Ai Longobardi, infatti, necessitavano agevoli collegamenti tra i vari territori da loro sottomessi (la Garfagnana prima, la montagna modenese dopo).

Altri ritengono che questa via potesse essere stata un tracciato romanico o addirittura pre-romanico riaggiustato.

Lungo la via Bibulca sorgevano alcuni ospizi che servivano da ricovero per i viandanti, ed in particolare a Frassinoro, a S. Geminiano (nei pressi dell’attuale Piandelagotti) e a S. Pellegrino in Alpe.

La via fu spesso oggetto di discordie tra il Comune di Modena ed il Monastero di Frassinoro; nel 1164 Federico I concesse al Monastero i diritti di guida e di custodia, essendo spesso percorsa da bande di briganti, del tratto Ponte di Cornilio-Chiozza, in Garfagnana.

Nel 1522 Ludovico Ariosto, recandosi ad assumere il governo della Garfagnana, sperimentò lo stato disastroso a cui era ridotta la via definendola "iniqua strada".

Attualmente resta solo un breve tratto nei pressi di Piandelagotti.

 

Longobardi e Bizantini

Caduto l’Impero Romano, dalla metà del VI secolo d.C., scesero in Italia, dalle Alpi Giulie, i Longobardi.

Verso la metà del VII secolo il Regno Longobardo comprendeva sia la pianura reggiana che quella modenese, mentre l’Appennino in gran parte era rimasto soggetto all’Impero d’Oriente cioè ai Bizantini di Ravenna, ed il Frignano rappresentò un rifugio per i profughi in fuga dalla pianura.

I Bizantini contrastarono la discesa Longobarda lungo il fronte dell’Appennino tosco-emiliano costruendo imponenti campi trincerati (ad esempio, Feronianum, Gaiato di Pavullo? Marano?, dove esisteva un castello che fu assalito nel 728) e molte fortificazioni minori disseminate in punti strategici: le Vaglie.

I Longobardi, da parte loro, contrapposero le Arimannie, insediamenti agricolo-militari installati soprattutto in zone di confine.

Il baluardo longobardo nell’Appennino reggiano era Bismantova e contrapposto, non lontano dall’odierno Carpineti, sorgeva il castello denominato Verabolo, che fungeva da roccaforte dell’Esarcato di Ravenna, cioè dell’Impero d’Oriente.

Il territorio soggetto al Verabolo, oltre alla parte orientale della montagna reggiana, comprendeva anche la parte occidentale della montagna modenese, in pratica tutto quel territorio che poi andò a costituire, qualche secolo dopo, le Terre della Badìa di Frassinoro, il Comitato di Gomola e le Terre di Montebaranzone.

Nel 728 le popolazioni dell’appennino reggiano e modenese (ed altre), in maggioranza già convertite al cattolicesimo insorsero contro l’Esacrato di Ravenna e si sottomisero al re dei Longobardi Liutprando. In questo modo tutto l’Appennino modenese e reggiano fu soggetto ai Longobardi.

Sono ancora presenti, nella nostra montagna, toponimi di origine longobarda come Romanoro, dall’antico Armanorium, termine indicante una stazione con presenza di guerrieri longobardi (arimanni). Altri toponimi di origine longobarda sono: Le Braglie, Braida, Montebaranzone

 

Franchi

Il 774 fu l’anno dell’occupazione dei Franchi, e il Frignano rimase sotto il dominio dei nuovi conquistatori per circa due secoli sebbene, essendo compreso nei territori del "Promissio Casiriacensis", avesse dovuto entrare a far parte dei possedimenti della Chiesa Romana.

Durante l’epoca Carolingia il territorio venne diviso in marche (governate da Marchesi) e contee (governate da Conti). La marca che comprendeva anche il modenese fu affidata alla famiglia dei Supponidi, di provenienza francese, che governò fin verso il 960.

Sul finire del dominio dei Supponidi la parte più alta dell’Appennino modenese era sotto la signoria di un tal "Sigefredus ex lucensi comitatu". Chi fosse in realtà Sigifredo non è stabilito con certezza. Secondo alcuni giunse in Emilia tra il 920 e il 930 ed acquistò proprietà nel Modenese, Reggiano e Parmense ed è considerato il capostipite della famiglia Canusinica, la famiglia cui appartennero le più note Beatrice e Matilde di Canossa che nel 1071 costruirono il Monastero di Frassinoro.

Ricordo del dominio di Sigifredo nella nostra montagna potrebbe essere il nome che in passato era dato all’abitato di Riccovolto Vecchio: Roncosigifredo.