Il cerimoniale dello sposalizio nella Valle del Dragone
di Erminia Vezzelli
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Ricerca di Erminia Vezzelli, maestra alla scuola elementare di Boccassuolo, presentata al Primo Congresso del Folklore Modenese (1-2 Novembre 1958)
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Boccassuolo, 1926: corteo nuziale
Una delle tradizioni montanare, ancor
oggi fra le più popolari, è senza dubbio quella inerente allo sposalizio.
Ogni versante appenninico vanta il proprio cerimoniale di nozze.
Io cercherò di illustrare quello che svolge nei paesi sparsi sulla vallata destra e sinistra del Dragone, quali Boccassuolo, Palagano, Savoniero, Susano, Costrignano, Monchio, Montefiorino, Vitriola, Sassatella, Lago, Cargedolo, Spervara, Frassinoro e Piandelagotti.
Da parte delle ragazze, specie in passato, veniva compiuta una serie di prove, di esperimenti per avere la certezza di non restare zitelle, o per venire a conoscenza della condizione e dell'affetto dell'affetto del futuro sposo: ad esempio il gioco dei tre fagioli, conosciuto con qualche variante anche in pianura, o quello del mazzolino di fiori, colto al tramonto della vigilia di S. Giovanni Battista (23 giugno), che le ragazze mettono sotto il guanciale per sognare nella notte chi dovranno sposare, o il così detto “gioco delle sette fontane”, praticato fino a poco tempo fa specialmente a Boccassuolo. In quest'ultimo caso, il giorno di S. Giovanni Battista, di buon'ora, prima che sorga il sole, le ragazze, scrupolosamente a digiuno, senza proferir parola alcuna, munite di una bottiglia chiara e ben trasparente e di un bicchiere, silenziosamente e di nascosto ai famigliari, escono dalle case e, senza mai ripercorrere la strada già fatta e senza attraversare fossati, iniziano il giro delle sette fontane. Ad ogni diversa fonte attingono un bicchiere d'acqua da versare nella bottiglia, che, una volta riempita, portano su una finestra della loro camera, la meglio esposta a levante, perchè ai primi raggi del sole che verranno a colpire la bottiglia, esse potranno vedervi dentro il loro futuro sposo, nell'atteggiamento che egli realmente assume in quell'attimo, o, in caso contrario, una bara, presagio purtroppo di eterno zitellaggio. I giovanotti, che riescono a sapere della passeggiata delle ragazze, cercano con ogni astuzia di indurle a svelare il segreto, ma inutilmente: perchè soltanto una volta sposati sarà loro concesso di venirne a conoscenza.
Alla pubblicazione di un imminente
matrimonio, che nel passato veniva fatta oralmente dal parroco, dopo la lettura
del Vangelo, tutto il paese si mette in subbuglio per i preparativi del pranzo,
tanto lauto da consistere in due banchetti, consumati uno a casa della sposa e
l'altro dello sposo, e ritenuti tanto importanti da assumere l'aspetto di un
rito.
Si determina come una gara fra le due famiglie degli sposi per la migliore preparazione del banchetto, perchè, se è doveroso fare economie durante l'anno, nella particolare circostanza del matrimonio ci deve essere da mangiare in abbondanza e a qualsiasi costo.
Per questo i parenti vanno ad ogni uscio in cerca di biancheria e di stoviglie: sia per procurarsi il necessario, sia anche perchè spesso avviene, che, per ogni famiglia del paese, vengono invitate una o due persone. Tutti gli invitati offrono qualcosa: più che regali di valore, come si è cominciato a fare in diverse località tra le famiglie più ricche, sono doni in natura, quali burro, formaggio, uova, latte, galline: e si uniscono magari due o tre famiglie per il regalo fatto in comune, di un capretto o di un agnello. Tuttavia la spesa maggiore resta naturalmente addossata alle famiglie degli sposi, che devono pensare agli aspetti più dispendiosi del banchetto.
Si arriva così al gran giorno. Al mattino, di buon tempo, la sposa è circondata dalle premure delle amiche, che l'aiutano ad indossare l'abito nuziale, mentre in casa dello sposo si vanno radunando gl'invitati maschi, che si accingono poi a partire alla volta della sposa.
Il segnale della partenza vien dato dal suono festoso delle campane. Il corteo si snoda avendo in testa due suonatori. Non ha importanza che gli strumenti siano costituiti da due violini, o da organo e clarino, o da fisarmonica e violino; quello che importa è che i suonatori ci siano, perchè la loro mancanza rappresenta un vero affronto per la sposa e le conseguenze sono gravi.
Si ha infatti allora la così detta “templata” o “scampanellata”. Lo sposo, sia esso giovane o vedovo, se non ha saputo procurarsi i suonatori che offrano ai giovani la possibilità di danzare, oltre che inimicarsi tutto il paese è costretto a subirsi e a far subire alla sua sposa una gazzarra indiavolata a base di grida, urla, schiamazzi, insinuazioni poco gradevoli, ed una musica tratta da una orchestra di scatole, latte, barattoli, campanelli che sale da sotto le finestre della camera nuziale a deliziare i sonni degli sposi, durante la prima notte di matrimonio e le seguenti, finchè questi, esasperati, non si decidono a concedere le danze, come vuole la consuetudine.
Il corteo intanto giunge alla dimora
della sposa. Tutt'intorno è silenzio, e l'abitazione appare abbandonata. A
questo punto le comari lasciano qualsiasi faccenda per spiare o assistere
all'incontro dei due, perchè questo è il momento più atteso e più emozionante
della cerimonia nuziale, che, a volte, assume in aspetto volutamente drammatico.
Al timido bussare dello sposo risponde una voce distratta e lontana, dopo di che si presenta sulla soglia uno dei parenti più autorevoli ed arguti della sposa, il quale apostrofa lo sposo in maniera poco invitante, asserendo che lì non ci sono spose in attesa di nessuno e tanto meno di lui. Poiché tuttavia il giovane pazientemente insiste, gli vengono presentate molte donne, cominciando dalle più vecchie e più brutte fino alle più giovani, escludendo fin che possibile la sposa, fra i comprensibili dinieghi del giovane e fra lo spasso e le risate dei presenti. L'attesa si protrae per delle mezz'ore prima che venga accordata la sposa, a meno che un giovanotto, sfuggendo ad ogni controllo, riesca a scavalcare una finestra o ad entrare per una porta secondaria, e finalmente sorprendere la sposa, che è trionfalmente condotta al cospetto dello sposo tra le generali manifestazioni di giubilo.
La sposa annoda allora un bel fazzoletto
di seta, grande e sgargiante e tale da ricadere bellamente sulle spalle, al
collo di un fratello celibe dello sposo o, in mancanza di questi, ad uno dei
suoi più prossimi parenti, che diventa così il “donzello”. Presolo sottobraccio,
la sposa assieme a questi dà l'avvio al corteo verso la chiesa. Avanti sono i
suonatori; dietro viene lo sposo con la “flippa”, che è generalmente una sorella
della sposa o altrimenti una delle sue parenti più prossime, in ogni caso
sposata, ma non in attesa di un bimbo. Il corteo giunge così alla chiesa
parrocchiale, fatto segno, lungo il tragitto, a colpi di fucile, esplosi a salve
in segno di rumorosa allegria.
Nello stesso giorno non si possono unire
più di due coppie di sposi: è credenza infatti che una delle due debba essere
infelice. Similmente una volta in chiesa se la sposa ha dimenticato a casa
l'anello, pende su di lei un infelice presagio. Tempi addietro solo la donna
metteva l'anello nuziale; quassù è da circa trent'anni che ha cominciato a
metterlo anche l'uomo.
Una volta sposati, all'uscita dalla chiesa, viene fatto il “toccamano”, che consiste nel salutare e baciare da parte di tutti gli invitati gli sposi novelli, formulando loro auguri.
Quindi si riforma il corteo che si dirige alla casa della sposa per il pranzo. In attesa di mettersi a tavola si danza sull'aia, che per l'occasione è stata sgomberata e pulita. Aprono il ballo gli sposi, che lasciano poi campo libero ai parenti, agli invitati e ai non invitati accorsi da ogni parte, mentre essi vanno di casa in casa a distribuire confetti, o solo a salutare, ricevendo in cambio liquori e dolciumi.
In alcuni paesi, specie dalle parti di Susano, Costrignano e Monchio, con gli sposi anche i parenti fanno il giro delle abitazioni, e, giunti alle case degli invitati vi consumano addirittura lauti spuntini.
Ad un segnale delle cuoche cessano le musiche e le danze, e ognuno siede a mensa, secondo un ordine già precedentemente stabilito, in modo cioè che gli sposi vengano a trovarsi nella tavola centrale, avendo ai fianchi la “flippa” e il “donzello”, e siano circondati da tutti gli altri invitati secondo il grado di parentela. In questo momento le tavole imbandite coi diversi e molteplici servizi di tovaglie e stoviglie di cui le famiglie erano andate in prestito, offrono una curiosa e pittoresca vista. Il pasto, fra pietanze, contorni, dolci e bevande si protrae per un pomeriggio intiero. Fra una portata, un boccone, una bevuta e l'altra si intrecciano “evviva” e poesiole, rime, burle, complimenti indirizzati, oltre che agli sposi, alla “flippa”, al “donzello” e a tutta la “compagnia”; rime spontanee, in gran parte, improvvisate sul momento, ma anche talora di una certa lunghezza, preparate in precedenza e lette a tavola durante il pranzo.
Intanto, nel mezzo della tavolata, i suonatori eseguono pezzi allegri, o accompagnano qualcuno in una quartina di Maggio. (Oggigiorno a questo punto, vengono letti i telegrammi e i biglietti augurali). Una volta ultimato il pasto si torna a ballare, in attesa di recarsi al banchetto preparato a casa dello sposo, oppure anche in attesa che un altro gruppo di invitati, che per esigenze di spazio era stato escluso dalla precedente tavolata, consumi a sua volta il pasto: inconveniente questo che non era raro specie in passato.
La sposa va poi a preparare il corredo e
a sistemarlo in un “cestone” apposito, tutto infiorato e infioccato che viene
portato alla nuova dimora da due amiche. Quindi, dopo aver salutato ed
abbracciato i genitori, come si trattasse di un estremo addio, si torna a
formare il corteo. La sposa è questa volta al fianco dello sposo: seguono subito
il “donzello” e la “flippa” portando quest'ultima sul capo una bellissima torta,
tutta ornata di trine, nastri e fiori che costituisce il suo dono di prammatica.
Il percorso, specie se lo sposo abita distante, è interrotto dai cosiddetti “arpari” (in certe località “roste”). Dai bambini vengono tese funicelle, nastri, ghirlande di fiori per ostacolare il passaggio agli sposi e per far loro pagare la dogana o la gabella, con le parole da tempo rituali: “Qui non passa gente bella, se non paga la gabella”. Anche i giovanotti architettano questi “arpari”, intralciando il passaggio degli sposi, con ogni sorta di attrezzi da lavoro. Alle parole degli improvvisati gabellieri, gli sposi regalano alcuni confetti, così che il corteo abbia presto via libera, altrimenti possono determinarsi soste lunghissime, fra lo spasso di tutti.
Sull'uscio di casa c'è, ad attendere gli sposi la suocera, l'unica che non abbia preso parte all'accompagnamento e che con effusioni di baci ed abbracci saluta la nuora sotto lo sguardo curioso di tutto il vicinato. Oppure, come avviene dalle parti di Frassinoro, la sposa viene accolta freddamente, cioè le si ricambia l'accoglienza che era stata fatta allo sposo precedentemente. Quindi la suocera la introduce in quella che sarà la sua nuova casa, e la porta a visitare anzi tutto la camera nuziale: “da ridgh e da pianggh”, cioè “da riderci e piangerci”, nella quale saranno poi fatti entrare anche gli invitati, per poter dimostrare a tutti quali siano le condizioni economiche del casato e perciò quanto sia fortunata la sposina.
Dopo questi convenevoli, e compita la perlustrazione della casa, tutti si accingono ad andare a tavola per consumare il pranzo dello sposo, che sarà anche più lauto del precedente. Anche qui, è un intreccirsi vivace di evviva e battimanin che, a non finire, accolgono l'apparizione della torta della “filippa”, la torta nuziale che viene collocata sulla tavola davanti agli sposi.
La sposa, dopo aver proceduto al primo taglio, affida la torta nelle mani di un esperto frazionatore, perchè a tutti deve toccare una porzione, seppur piccolissima, e inoltre un pezzetto deve restare per la mamma della sposa rimasta a casa.
Dopo di che, poiché moltissimi, grandi e
piccini, dai più vicini ai più lontani casolari, potendolo, vengono ad assistere
alla festa e si assiepano tanto da impedire il movimento dei danzatori, ecco
allora, che, per non creare comprensibili confusioni, viene eletto il
“mazziere”, che ha l'incarico di regolare ordinatamente la festa distribuendo i
giri di danza, in modo che tutti possano divertirsi. Così, il primo ballo è
assegnato senz'altro agli sposi, l'altro ai parenti di lei, il successivo ai
parenti di lui, poi un giro alle cuoche, uno alle cameriere, un altro infine
agli anziano, accolto questo festosamente dagli astanti. Fanno bella mostra di
sé in questa occasione, antichi balli montanari tra cui la monferrina.
Mentre i vecchi si esibiscono i giovanotti, che non vogliono essere da meno, fanno il così detto ballo della ruota. Faticosissimo. I ballerini, in numero pari, servendosi di fazzoletti attorcigliati a guisa di corda si prendono strettamente per mano formando un cerchio, cioè una ruota, i cui raggi sono rappresentati dai corpi, perfettamente rigidi e lineari, dei ballerini che, alternativamente, uno in piedi e l'altro quasi a toccare il pavimento, girano intorno al pernio centrale, costituito dai loro talloni, formanti appunto un caratteristica ruota. La festa si protrae fino a notte tarda o all'alba, in una atmosfera di allegria intensa.