La Val Dragone nella storia

Emigrazione

 


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Tragedie vissute dai nostri emigranti all'estero

 

In linea di massima, le partenze per un paese o per certe zone del mondo avevano un andamento discontinuo e sinuoso, infatti, crisi politiche, momenti di instabilità economica o sociale facevano talora precipitare le partenze.

Basti ricordare gli sconvolgenti fatti di Aigues-Mortes del 1893. In tutta Italia si ebbe un brusco calo di esodi per la Francia e il Frignano non fece eccezione.

Il 1893 fu un anno infausto per l’emigrazione italiana e non tanto per la terribile siccità che colpì l’Africa del nord, la successiva carestia e la terribile pestilenza che dilagò in Tripolitania, ma soprattutto per i citati fatti francesi. Nella cittadina di Aigues-Mortes (importante centro per la raccolta e il lavaggio del sale), il 19 agosto, circa 400 operai italiani che lavoravano là vennero scaraventati nel Rodano dalla folla inferocita e accecata da un selvaggio attacco di xenofobia. L’allucinante episodio non può trovare solo spiegazione nel quadro dell’inasprimento della politica doganale tra Italia e Francia e nella conseguente guerra di tariffe che fece seguito alla politica filo-prussiana di Crispi (capo del governo dal 1887), ma appare soprattutto come atto di intolleranza alimentata a dismisura, in piena crisi economica, da rivalità esasperate per motivi di lavoro e occupazione. In tutta la nazione si raccolsero fondi: anche a Pievepelago, Giovanetti, facente funzione di sindaco, aprì una sottoscrizione per le famiglie degli operai italiani uccisi ad Aigues-Mortes. Vennero spedite lire 50,10. Nel corso degli anni altre disgrazie e momenti critici minarono le speranze dei nostri emigranti.

Tra questi i fatti di Gibuti del 1899: lì rimasero uccisi alcuni operai di Riolunato, trucidati a colpi di lancia da alcuni indigeni che, apparentemente, non avevano subito alcuna provocazione. Gli operai erano impegnati nella costruzione del tronco ferroviario Gibuti-Harrar, destinato poi ad essere prolungato fino ad Addis Abeba.

Anche i disastri minerari o di altro tipo esercitavano un’azione deterrente, sempre però momentanea. Ciò che accadde a Cherry, nell’Illinois, in cui trovarono la morte ben 259 minatori in parte italiani, scosse l’opinione pubblica. Ancor più a Pievepelago e a Fiumalbo fu sentito, perché vissuto in prima persona, il disastro di Dawson, cittadina del New Mexico.

Il 22 ottobre del 1913 il gas esplose nella locale miniera e tra i morti si contarono 17 fiumalbini, una vittima di Fanano, 2 di Riolunato, 3 di Pievepelago e 15 di Monfestino. E a poco valsero gli indennizzi in dollari inviati alle famiglie dei caduti.

Ancora nel 1916 l’affondamento ad opera di un sommergibile austriaco del piroscafo "Ancona", carico di merci e di emigranti, suscitò lo sdegno degli italiani; ma nel corso delle ostilità, abituatisi a fatti ancor più gravi, l’azione criminale passò in secondo piano. Infine non si può dimenticare il disastro della Foresta Verde, in Corsica, nel 1927, dove perirono ben 12 boscaioli di Piandelagotti.

E’ ancora viva nei ricordi di uno dei superstiti, il signor Giuseppe Stefani, oggi quasi novantenne, l’immensità di quella tragedia.


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