La Val Dragone nella storia
 

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I "Lunari" di don Pietro Ascheri di Vitriola

Tra astrologia ed astronomia: don Pietro Ascheri di Vitriola,

sorprendente interprete del dialetto in Val Dragone


Di Aldo Magnoni

 

 

 

I tre documenti inediti del 1697, 1698 e 1704 che si propongono in esclusiva ai lettori della Luna Nuova, valgono bene l'aggettivo "straordinari".

Straordinari, innanzitutto, perché si tratta di stampe redatte esclusivamente in dialetto locale; straordinari anche perché si tratta di "Lunari", i mezzi a quel tempo tra i più importanti per mettere in simbiosi l'uomo con il trascorrere del tempo e tentare di anticiparne, tra gli altri, gli eventi meteorologici. In ogni caso documenti che rappresentano ancor oggi un "unicum" nel nostro Appennino e forse, a quel tempo, lo erano anche in una visione geografica ben più ampia. Straordinario, e dotato di conoscenze astronomiche non comuni, doveva essere anche l'estensore di questi "Lunari": Don Pietro Ascheri di Vitriola, religioso, astronomo appunto, ma anche astrologo, riparatore di orologi (a dimostrazione del suo stretto rapporto con il tempo) e…uomo dotato di "humour" sottile, utilizzato nei suoi Lunari specialmente contro coloro i quali se lo inimicavano.

 

 

Si deve la sopravvivenza fino ai giorni nostri di questi documenti, ad una denuncia fatta al Sant'Uffizio dell'Inquisizione, da parte di don Pellegrino Frassineti, Rettore di Massa e di don Matteo Magnoni parroco di Vitriola.

Costoro sentendosi ingiuriati da don Ascheri, che attraverso i suoi Lunari li avrebbe oltraggiati con i nomi ingannevoli di "Bracco" e "Mozzacova", lo denunciarono infatti al Tribunale dell'Inquisizione ed il processo, iniziato il 23 aprile 1704 e chiuso il 18 giugno dello stesso anno, si concluse con l'imposizione al reo di astenersi dal pubblicare in avvenire Lunari del genere.

L'esigenza di sintesi ci impedisce purtroppo di addentrarci negli atti del processo e ci lascia esplorare soltanto alcuni frammenti su come potessero essere i Lunari che circolavano nella nostra vallata nel periodo a cavallo tra il XVII e XVIII secolo.

Don Ascheri, da buon astronomo, anticipa nei suoi lunari le eclissi annuali. Ne diamo sunto di ciò che scrive negli anni 1697 e 1698:

"St' Ann in Cel egh srà quattr Clis, do del Sol, e do d'la Luna, mò an tin vdrà in su'una d'la Luna à i 29. d' Ottobr d'nott à hor. 7. m.I. che vul dir dop' la mezza nott d'poc, e pirò i curios, ch'vuran vder, e bsogna ch'i s'levn da pres' alla Sposa chi ch' l'an, e far un poc d'tremanina, s'ben egh parrà fadiga, e guardarla ben, ch'la durarà tre hor e mezz. Mò in terra po' à sren spess' à quella, perché cond'l'è scur, e cond' n' segh' ved, l'è la Clis, e in t'l Bors di povr um' la gh'srà spess'…"

Ossia: "Quest'Anno [1697] in Cielo ci sarà[nno] quattro eclissi, due del Sole, e due della Luna, ma non ne vedrai in su [che] una della Luna il 29 d'Ottobre di notte alle ore 7 [m.I è di significato non traducibile] che vuol dire dopo la mezzanotte di poco, e però i curiosi che (la) vorranno vedere, bisogna che si alzino da vicino alla sposa, quelli che l'hanno, e fare un poco di tremanina, sebbene gli paresse fatica, e guardarla bene, che durerà tre ore e mezzo.

Ma in terra poi saremo (vicini a quella situazione), perché quando è scuro e quando non ci si vede, è l'Eclissi, e nelle borse dei poveri uomini ci sarà spesso…".

"St'ann an gh' habbiema altr, che on Eccliss dla Luna, ch'srà à i 15 de Marz à hor 8 la qual s'vudrà benissim da chi srann curios d'vuderla, mò è bsogna chi s'levn, e andar alla fnestra, ò in tel stenddor: …"

Ossia: "Quest' anno (1698) non avremo altro che una eclissi della Luna, che sarà il 15 di Marzo alle ore 8 la quale si vedrà benissimo da chi saranno curiosi di vederla, ma bisogna che si alzino (da letto) e vadano alla finestra o nello stenditoio:…".

Ma il Nostro dimostra di saperla lunga anche in astrologia ed in quell'anno 1698 scrive: "…O ò i diran po' Zizaron, Zizaron, cià, e là mò l'è acsi po' far can dig d'mi, dseva Massiec, bon bon Nadal da Boramson l'ann cmenzarà e prum d'Gnar, e di dl nuv, sgond ch's'usa da nù; sben i Astrolgh l'intendn à so mod, vulend ch'el daga à so principij, cond ò Sol s'part d'in Pscaria, e và in tla Stalla dl pegr à vuder e Bricc da quattr corn, ch'camina po' con i su Cavai, es fa da Lachè, ch'srà à i vint d'Marz à un hora d'Sol, ò srà in tla soia dl usc dla Stalla, es piarà possess d'tutt l'ann, ò vuler, ò n'vuler, l'è galantom, sben mò è ghe quaic Astrolgh, ch'vuren favrir Saturn, ch'è un gainon, es è com è Can dl Hortlam, ch n'mangia verz, es n'vurev ch'ialter in mangiasn: Le ben po' ver, ch'anc lù ghà un zampet, prchè le in Acquarij so cà, es ghe anc Mart, e Giov è in cà d'Mercurij, ch'i negotijn i sua interess. L'è l'Ottava dl ottantott, ch fù si grand'ann, che fù si tant forment, à iarè speranza, ch'al sgh assmiassa anch quest, almanch in tel forment; e per tant amani pur di sach, e di casson, e spazza ben i granar, ch'à sper cha impirem ign cosa, es haren dla robba in chiocca, prchè chi ch'han di camp, sempr portn à cà quel, esarguia."

Che tradotto significa: "…O diranno poi, Zizarone, Zizarone, qua e là mo è così, po' far cane dico di me, diceva Massiec, bon bon Natale da Borramisone [Borramisone è toponimo riferito ad una località a poche centinaia di metri ad Est del Ceratello di Casola dove ancora nel '700 vi era un'abitazione, ora scomparsa] l'anno comincerà il primo Gennaio, il giorno delle nuove, secondo ciò che si usa da noi; sebbene gli Astrologhi l'intendono a suo modo, volendo che lo dia al suo principio, quando il Sole se ne parte dalla Pscaria [ci asteniamo dall'addentrarci, anche per il prosieguo della traduzione, negli approfondimenti di natura Astrale] e va nella Stalla delle pecore a vedere il Bricco [forse intende il Capricorno] da quattro corna, che cammina poi con i suoi Cavalli, e si fa da Lachè, che sarà il venti di Marzo a un'ora di Sole, o sarà sulla soglia dell'uscio della Stalla, e piglierà possesso di tutto l'anno, o volere, o non volere, è galantuomo, sebbene adesso c'è qualche Astrologo che vorrebbero favorire Saturno, che è un gainon [si ignora il significato gainon] ed è come il cane dell'ortolano, che non mangia verze, e non vorrebbe che gli altri ne mangiassero. E' poi ben vero che anche lui ha uno zampetto, perché è in Acquario, sua casa, e c'è anche Marte, e Giove è in casa di Mercurio, che negoziano i suoi interessi.

E' l'Ottava dell'ottantotto, che fu si un grande anno, che fu sì (anno di) tanto frumento, avrei speranza, che ci assomigli anche questo, almeno nel frumento; e per tanto raccogliete pure dei sacchi e dei cassoni, e spazzate bene i granai, perché spero che riempiremo tutto, ed avremo della roba in chiocca [si ignora il significato chiocca] perché quelli che hanno dei campi sempre portano a casa quello, che assomiglia".

Sempre nel 1698 don Ascheri dà anche un consiglio ai futuri sposi: "Temp contrari al nozz.

Da i 12 d'Frvar fin à i sett d'Avril, e dà i 30 d' Nvembr fin' à i 7 d'Gnar.". Di facile comprensione, significa: "Periodi contrari alle nozze. Dal 12 Febbraio fino al sette d'Aprile, e dal 30 Novembre fino al 7 di Gennaio.".

Tra le curiosità che meritano di essere citate i giorni della settimana nel dialetto locale del 1697 erano: Dmenga, Lundì, Martdì, Mierql, Zuobia, Viegnar, Sabad. Nel 1698 erano: Dmanga, Lundì, Martdì, Mercordì, Giubia 2, Vernardì, Sabad.

Quelli invece del 1704: Dmnga, Lundi, Martdi, Mercordì, Giobia, Vurnardì, Sabad.

Alcuni suggerimenti sul Lunario del 1697, sul quale Stuagesma era la Quaresima:

domenica 10 febbraio: "l'a s'dsfà" ("si scioglie la neve");

mercoledi 6 marzo: "supiav intl man..." ("soffiatevi nelle mani [dal freddo]");

Giovedi 11 aprile: "à nal sò" ("non lo so");

Venerdi 10 maggio: "tron senz'acqua" ("tuoni senza pioggia").

Altri sul Lunario del 1704:

mercoledi 5 marzo: "ngotta" (niente);

giovedi 24 aprile: "smna l'zucch" (semina le zucche);

martedi 17 giugno: "sega e prà" (taglia l'erba nel prato);

mercoledi 18 giugno: "arcoi e fen" (raccogli il fieno);

venerdi 20 giugno: "coij l'insalada" (cogli l'insalata);

domenica 27 luglio: "e ghè da far" (c'è da fare);

mercoledi 8 ottobre "l'è buij e vin" (è bollito il vino [nei tini]);

giovedi 9 ottobre: "e cmenza al castegn" (cominciano le castagne);

domenica 2 novembre: "i mondn la fava" (mondano la fava);

domenica 16 novembre: "andà in te mtat" (andate nel metato [per l'essicazione]);

martedi 23 dicembre: "scalda ò lett" (scalda il letto [per il freddo]).

Chi scrive colleziona da tempo Lunari e calendari storici, ed alcuni di questi sono stati esposti - unici provenienti da archivio privato - nella mostra dei Lunari dal XII al XX secolo, allestita presso l'Archivio di Stato di Modena.

Tra questi, sarebbe interessante commentarne alcuni, anche recenti, scoprire le annotazioni che vi si ponevano, come, ad esempio, su quello del 1907, quando il medico di Costrignano, dr. Nanetti Clodoaldo, annotava l'avvistamento delle prime primule nella valle di Monchio in data 6 gennaio.

Ma ora alla sintesi richiamata e forse non rispettata, si aggiunge anche un pochino di sonnolenza che si vorrebbe non essere contagiosa nel lettore.

Lasciamo così spazio ai documenti non senza aver fatto prima un breve, ultimo commento.

Quando queste note saranno pubblicate, i Lunari del Nostro don Ascheri saranno già stati oggetto di approfondimento, congiuntamente ad altri documenti di analogo argomento, in una giornata di studio sull'Astronomia tenuta presso l'Accademia di Scienza, Lettere ed Arti di Modena.

 

 

 


 

I "Lunari" di don Ascheri: documenti antichi

 

Nella provincia di Reggio Emilia è solo dopo il XVIII secolo che, come affermava Bernardino Biondelli, "i torchi tipografici accolsero per la prima volta i componimenti vernacoli reggiani, e ne trasmisero copiosa serie alla posterità, inseriti in vari Almanacchi, Pronostici e Diarii, che senza interruzione vennero da quel tempo alla luce".

Nel 1720 compare il Pronostico "Sandrùn da Rivälta, stròleg modèrn" . Seguirono altri Almanacchi come "Al Contadèn astròleg", e bisognerà aspettare il 1825 per avere i "Lunari Arsàn" [Lunari Reggiani] ad opera del prevosto Rocca di Reggio Emilia.

Stessa cosa dicasi per il territorio Piacentino, dove la letteratura vernacola si trova principalmente raccolta in almanacchi ottocenteschi quali: "La Pilligrèina vedva d'Isidori Ficcapartütt zavattèe e stròlegh. Lünari in dialöt piasintèi" e "La Pilligrèina pajaröla ch'à sposà al cög Speina-Carpän. Lünari in dialöt piasintèi".

Sempre il Biondelli nel 1853, indirettamente, rafforza l'importanza dei lunari a stampa in dialetto di don Ascheri (che evidentemente non aveva potuto visionare) quando scrive: "il dialetto Frignanese per essere parlato da una scarsa popolazione fra sterili monti, non può vantare alcuna letteratura speciale. Con nostro stupore peraltro, nel corso delle nostre indagini, èbbimo a rinvenire una poesia pubblicata colle stampe a metà del secolo scorso [1760], scritta nel dialetto di Sestola, antica terra, capo-luogo un tempo della Provincia del Frignano. Assai più ci sorprese il riconoscere, come in quel tempo medesimo vivesse a Sestola un rozzo pastore, denominato Nicola Galli, il quale, sebbene privo d'ogni preparatoria istituzione, rallegrava e tratteneva sovente i suoi connazionali colle proprie poesie vèrnacole".

 

 


 

Zuobia, giobia... giovedì

 

Questi termini dialettali, ormai dimenticati nelle nostre zone, erano comuni nel nord Italia: Il Biondelli sostiene che: "Zòbia per Giovedì, è voce veneta, sebbene alcuni dialetti lombardi pronuncino pure Giòbia". Troviamo citato Zobia nel 1255 sul "Decalogo di anonimo Bergamasco" che riporta: "la zobia sancta Cristi in orto disse - Chi de agide fere, de agide perisce" che, di facile traduzione, significa: "il giovedì Santo Cristo nell'orto disse, chi di spada ferisce di spada perisce".

Anche nella "cronaca manoscritta della Marca Trivigiana" del 1373 si legge: "la Zuobia a 29 Sept. Francesco Petrarcha fece la oration in la qual Francesco Novello…". La cronaca in volgare veneziano di Antonio Morosini "Cronicha de Venexia 1094-1433", troviamo "Zuobia di, XXVII del mexe de Mazio MCXXIII…"

Il primo dicembre 1521 muore Papa Leone X e si appronta il nuovo Conclave che eleggerà dopo un anno Papa Adriano VI. Una cronaca manoscritta di quei giorni racconta che: "Ce sonno ancora zorni 17 prima che se serano in conclavi perché lunì che sarà adi 9 si farà lo exequio, et il marti poi che sarà si finirà et a di 18 mercore si farà cantar la Messa del Spirito Santo, et se intrerà in conclavi, et il zuobia poi se sereranno".

Il termine è utilizzato attualmente pure nel dialetto Croato, dove troviamo in una filastrocca: "Al zuobia la ga pietarra la stupa" ossia "il giovedì pettina la stoppa".

Quanto al termine Giubia o Giòbia che ancora si usava in queste zone nel dopoguerra, la matrice lombarda pare certa.

Nel glossario etimologico piemontese del 1888, Giuseppe del Pozzo scrive del "Giòbia grass", il giovedì grasso.

Giobia, inoltre, identifica tuttora in Sardegna ed in Brianza il giovedì, ed in quest'ultima area, nell'ultimo giovedì di gennaio, ricorre "la festa della Giobia".

 

 


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