La Val Dragone nella storia
 

Documenti


Gli assalti alla Rocca di Montefiorino


Articolo pubblicato su la Luna nuova, numero 48 (maggio 2016)

Articolo originale (PDF)

 

di Aldo Magnoni

25 novembre 1429 - 7 giugno 1944: due date separate da oltre mezzo millennio di storia testimoniano come il desiderio di libertà e democrazia

non abbia concesso residenza tranquilla nella Rocca agli usurpatori del momento

 

 

Dapprima nel 1429, o come sostiene il Bucciardi, nel 1426, toccò al potente casato dei Montecuccoli, feudatari in gran parte dell’Appennino modenese, essere cacciati per sempre dalle valli del Dolo e del Dragone ottenendo dagli Estensi la promessa, sempre mantenuta fino all’avvento napoleonico, che quella terra non sarebbe mai più stata infeudata.

Venne poi la più recente storia della seconda guerra mondiale che vide questa volta salire prepotentemente in Rocca i nazifascisti, che in quello stabile vi elessero un potente presidio. Ma ancora una volta i nostri padri, nell’estate del 1944, diedero nuovamente assalto a quel castello medievale dando poi vita alla prima Repubblica partigiana d’Italia. Interessanti documenti descrivono questi due famosi eventi.

Il primo è la cronaca "Memorie Istoriche del Frignano" scritte nel 1664 dal Notaio Alessio Magnani che valendosi verosimilmente dell’archivio della famiglia Montecuccoli, al servizio della quale operò appunto come Notaro, ci descrive in modo particolarmente dettagliato non solo le cause che determinarono l’assalto in quella mattina del 25 novembre 1429, ma anche i capifamiglia che organizzarono la sommossa e le circostanze della fuga dei feudatari.

Il secondo invece narra, attraverso un manoscritto inedito del mio archivio, le vicende di un analogo attacco che, a distanza di oltre cinque secoli dal precedente in esame, vede la cacciata da Montefiorino dei nazifascisti. Quest’ultimo raccoglie la testimonianza del giovane studente universitario milanese, Guido Campagnol (mio suocero, deceduto prematuramente nel 1974) catapultato casualmente dopo l’8 settembre, al pari di tanti altri giovani, nei nostri monti ad intraprendere la vita partigiana e tra i primissimi a valicare l’ingresso della Rocca appena liberata.

La passione del giovane diciannovenne Guido per la fotografia e per la pittura traspare a tratti nelle parti del voluminoso manoscritto: "Difficoltà inenarrabili" come lui stesso le titola, combattimenti, ritirate, rapporti con la popolazione locale e, soprattutto, la descrizione minuziosa dei componenti del suo gruppo di ribelli, insieme alla straordinaria descrizione di come trovò i locali appena abbandonati dai nazifascisti.

 

La cacciata dei Montecuccoli (venerdì 25 novembre 1429 oppure lunedì 25 novembre 1426)

"...Haveva Messer Andrea Fogliani da Reggio Podestà di Montefiorino per Nicolò et Alberguccio signori di quella giurisditione uno prigione per nome Cristoforo da Rovallo reo di un delitto molto grave, da cui essendo stato posto al tormento, et per non havere a confessare, tagliatasi la lingua essendo morto di spasimo, quei di Montefiorino come mal soddisfatti per certe imposte fatte loro da questi Signori, per lo che havevano fatto ricorso, et cavato provisioni dal Marchese, vogliosi di cose nuove, et havendo per capi di tutti quegl’altri i Casini et i Magnoni da Vetriola parenti di quel tale da Rovalo morto in prigione, havendone prima passato doglianza in absenza loro con Madonna Catterina Malaspina moglie di Nicolò con dirgli che forsi se ne potriano pelar la barba, la mattina di Santa Catterina cioè il 25 di Novembre del 1429 nell’aprire della porta del castello, et nel mutare le guardie forsi anco elle complici del tradimento, entrando impetuosamente con armi alla mano, con alte voci et parole ingiuriose scacciandone l’infelice Signora con tutta la famiglia senza rispetto veruno con mettere ogni cosa a sacco, si che ella hebbe appena tempo di fuggire alla meglio od alla peggio che potè, e con Pietro e Guglielmino suoi figlioli fanciulli scalzi e malvestiti fuggendo per le rive scoscese et dolente si ritirò di qua dal Dragone, ricoverandosi in casa di quei della Torre di Susano 2 miglia lontane, e con gran fatica e prieghi ottenne dai sollevati di Montefiorino il proprio letto, e ritirandosi insieme con Nicolò suo marito, et Alberguccio il cognato si ben trattato dalla fortuna e dalla amorevolezza del Marchese lor Signore complice del fatto, et in estremo alla Pieve di Polinago".

 

La cacciata dei nazifascisti (sabato 17 giugno 1944)

Così relaziona Davide (Osvaldo Poppi) sull’attività al 30 giugno: "In quei giorni si iniziò l’assedio di Montefiorino di nostre forze composte dai distaccamenti Fontana e Barbolini (sassolesi) e dal distaccamento Balin.

Interrotto l’acquedotto, le linee della corrente elettrica e il telefono, la guarnigione fascista restò priva di acqua e luce, senza carne e grassi e ogni giorno e notte i nostri posti di blocco colpirono i militi che si recavano ad attingere acqua alle fontane fuori dell’abitato.

Un’uguale opera di disturbo si compiva nei confronti del presidio di Frassinoro…"

Da frammenti del manoscritto di Guido Campagnol l’arrivo in Val Dragone: "Di buon mattino mi si avvertì che avrei raggiunto la formazione che mi era stata destinata; era quella comandata da Giovanùn. Era un ragazzo sui vent’anni, nato e vissuto su quei monti, deciso e rispettoso. Si notava in lui la preoccupazione che lo faceva più uomo; forse mai nella sua vita aveva avuto tanta responsabilità. Quando io giunsi si trovava in postazione con una squadra d’una ventina di uomini.

La descrizione di Ultimio Pagani e Cesario Palandri: "Con me avevo un ragazzo detto 'il mitragliere' appunto perché sparava con detta arma. Era un ragazzo coraggioso, strano ragazzo però: quasi sempre serio, assai di frequente si arrabbiava per cose da nulla, però era pronto a fingere di sorridere quando lo si obbediva. Aveva lineamenti belli, ma feroci; mi dava l’aspetto di un soldato romano.

L’altra formazione era comandata da un altro ragazzo di non più di 22 anni. Pure lui era dei luoghi e come l’altro lui pure dotato di una buona dose di coraggio. Aveva nome Ultimio [Ultimio Pagani, recentemente scomparso. N.d.A.]; ricciuto, con baffetti ben curati e un viso olivastro. Un regista l’avrebbe preso per raffigurare un corsaro di mare. Dalla sua bocca, sempre in atteggiamento di sorriso, spiccavano i denti bianchi in contrasto con l’impeccabile camicia rossa, che i primi giorni non abbandonava mai.

Il comandante era Balin [Cesario Palandri, n.d.A.], un ragazzo onnipresente. Aveva 20 anni, non più alto di 1,65 con capelli ondulati e basette bionde molto lunghe. Su questi monti le sue basette avrebbero potuto passare alla storia, come in Francia lo fu per la cravatta alla Valliere. Per molti giorni non lo vidi mai ridere. Doveva essere molto preoccupato: era il 'refugium peccatorum' e credo non avesse nemmeno il tempo per respirare. Vestiva sempre in modi diversi e non so dove andasse a finire tutta la roba che cambiava. Forse, anzi deve essere così, lui abitava vicino e quindi più di molti poteva tenersi pulito. Solo una volta mi capitò non solo di vederlo ridere, ma di scherzare molto allegramente. Eravamo a riposare in un fienile. In quel giorno doveva aver sentito i suoi vent’anni che mal si adattavano a tutta quella serietà e responsabilità. Rise con molta spensieratezza, gettando dell’acqua a un compagno che dormiva. E poi, con l’aria più sorniona lo ascoltava imprecare. Nessuno, tra i non presenti, avrebbe supposto che fosse stato il serio Balin e, anzi, fu lui stesso a confessarlo". La presa della Rocca: "Aspettavo Balin. Tutti l’aspettavano; eravamo tutti ansiosi di udire la sua voce che avrebbe dato l’ordine per l’attacco definitivo a Montefiorino.

Entrai in Rocca. Uno spettacolo desolante mi si presentò innanzi. Nel cortile prospicente la porta vi era una tavola con sopra avanzi di carne di mulo cruda. Il pozzo servì loro per trafugare munizioni ma, più che altro, le posero dentro per inquinare l’acqua. Tutt’intorno era un cumulo di immondizie. A destra, sempre al piano terreno, stava una stanza ingombra di armi di ogni sorta e di vestiario militare. In un’altra stanza una tavola imbandita era coperta di avanzi. Al piano superiore un fetore imparagonabile avvolgeva i locali; qua e là sedie rovesciate, rimasugli di vivande. Nelle camere, letti sconvolti ostacolavano il passo. In terra un numero incalcolabile di bossoli da moschetto e da mitragliatore.

Più giù, nelle camerate della truppa, brande e coperte abbandonate nel caos. Avvolto da una decina di coperte trovammo un ragazzo di diciott’anni che dalla paura aveva preferito aspettare che lo raggiungessimo noi".

 


La Val Dragone nella storia