La Val Dragone nella storia
 

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Primo settembre 1942: "il battesimo del fuoco".

(Archivio A. Corti)

 

 

 

Quando gli alpini fecero battere in ritirata la Wermarcht


Di Aldo e Stefano Corti


Piccoli episodi dimenticati della storia, piccoli lembi di terra macchiati dal sangue dei nostri alpini, singoli avvenimenti che sommati tutti insieme segnano il destino di una guerra.
E c’è proprio un episodio dimenticato che sembra anticipare quello che sarebbe poi accaduto dopo quel tragico 8 settembre 1943: alpini che sparano sui tedeschi e viceversa. Nel nostro racconto, questo accadde la notte del 31 agosto 1942 e per un tragico errore; ecco il reduce Aldo Corti a raccontarlo. “Noi alpini (tre divisioni alpine, Cuneense, Julia, e Tridentina, sessantamila uomini con quindicimila muli,) siamo partiti il 2 agosto 1942, e scaglionati su treni merci, dopo tre settimane di viaggio, siamo giunti tutti a Nova Gorlowka e, noi della Tridentina, che eravamo destinati al fronte del Caucaso,siamo stati subito impegnati a tamponare una falla sul basso Don (a Bolshoi). A marce forzate di circa 40 km al giorno, con zaino affardellato di 35 kg, ci stavamo così avvicinando al battesimo del fuoco. Ogni 50 minuti di marcia avevamo diritto a 10 minuti di riposo, così anche solo per guadagnare un secondo, ci buttavamo a terra nel bel mezzo della colonna (vedi foto), poi con grande fatica si riprendeva la marcia. A dire il vero io ero anche un po’ più fortunato degli altri, poiché il buon Egidio Coriani da Montefiorino, che guidava le autocarrette Fiat 114 per il trasporto delle munizioni, si offriva sempre di caricare sul camion la mia cassetta di legno con i ferri da barbiere e di tanto in tanto mi svuotava anche lo zaino facendomelo riempire di paglia… Io però ero preoccupato che qualcuno potesse accorgersene e lui ogni volta mi rispondeva che tanto peggio di così non poteva andare... cosa potevano farmi di peggio che spedirmi in prima linea come tutti gli altri? E così venne la sera del 31 agosto 1942. Sapevamo di essere ormai vicini al fronte, ma quando ci vennero incontro i Fiat 126, i camion trasporto truppe, per darci un passaggio, noi giovani reclute fummo così entusiasti che ci salimmo su di corsa senza ascoltare i consigli dei “veci”, i quali ci dicevano che per andare a morire c’era sempre tempo…
E fu così che al calar della notte ci trovammo nell’inferno di Bolshoi, a riconquistare la quota 420 appena perduta dalla divisione Sforzesca, quella che i sovietici chiamavano la divisione “Cikai” (in russo vuol dire scappare). Ad un certo punto, senza copertura di artiglieria, venne l’ordine di attacco e noi reclute del Valcamonica, assieme ai battaglioni Verona, Valchiese e Vestone ci trovammo al battesimo del fuoco. Tutto intorno a noi bruciava, e quando due stukas in picchiata vennero a mitragliarci, io trovai rifugio dietro le ruote di un camion. Senza coordinazione, gli alpini conquistarono la quota con numerose perdite tra cui il povero Frassineti Luigi da Mont Malé, e il cui corpo non fu più ritrovato. Solo all’alba ci si accorse che era stato compiuto un tragico errore…mentre i Fiat 126 ci stavano trasportando al fronte, i tedeschi senza mettersi opportunamente in contatto con le truppe alpine, avevano appena ricacciato i russi da quota 420, e quando gli alpini andarono all’assalto, a causa dell’oscurità pensarono che fossero i russi che contrattaccavano, ecco perché gli stukas ci mitragliavano…! Fu così che il primo scontro lo avemmo contro la Wermarcht, e non contro l’Armata Rossa. Potete immaginare la rabbia dei tedeschi, che non solo persero uomini e mezzi, ma dovettero sopportare l’umiliazione di essere stati ricacciati dalla quota 420 dai nostri alpini...”

 


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