La Val Dragone nella storia
 

Documenti


 

Documento del 1722 sui beni di Val D'asta a Casola

(Archivio Magnoni Aldo).

 

 

Dalla Val D'Asta alle Vaglie: a castagne nel "Balugano"


Articolo pubblicato su la Luna nuova, numero 42 (maggio 2013)

 

 

Di Aldo Magnoni

 

Tutti, chi per un motivo chi per un altro, siamo o potremmo diventare i ‘Balugani’ di qualcuno.

Per noi montanari del medio Appennino sono Balugani, per ragioni altimetriche, i figli di San Geminiano che vediamo laggiù, in basso, all’ombra della Ghirlandina. Per i Pievaroli sono gli abitanti di Barigazzo, nonostante quest’ultima località si trovi a 1224 metri sul livello del mare. In altre parole un caos geografico!

"Ma insomma, dove comincia la Balugania?" Se lo chiedeva trent’anni or sono anche il compianto prof. Battista Minghelli, spiegando il significato della parola "Balugàn" nel suo secondo volume de "Le parole dell’alto Frignano". Quel termine infatti, da lui anche definito "come epiteto spregiativo" che in bocca ai montanari significava "inetto, cretino, ecc...", si trova nella nostra parlata non sempre lusinghiera, rivolto a coloro che abitano più "alla bassa". Mi ero illuso che noi abitanti della Val Dragone e della Val Dolo fossimo esenti da tale soprannome e che appartenessimo unicamente ai Bronchi, ossia a quel remoto epiteto che ci distingueva dai Maròo o Maròl della Valle del Pelago.

Avremmo potuto identificarci, in buona sostanza, con i nostri avi della Podesteria di Montefiorino ben descritti nel 1613 dal futuro Governatore del Frignano Fulvio Ferrari: "…il Popolo che l’habita è differente molto dall’habitatione e da tutti i lochi montuosi poiché è d’una sagacità non creduta, di costumi non ordinari al loco, parlare alquanto civile, d’habito un poco rozeto, in generale ricchi, poveri in particolare, et di sangue compressamente bello, le cui qualità si può dir procedano dal lor praticar in piano".

Avevo persino avuto l’ardire di pensare che per essere immuni da appellativi poco adulatori bastasse, con pieno diritto, identificarsi con i montanari modenesi descritti da Giovanni Pascoli nel suo commento ai "Canti di Castelvecchio": "Si chiamano lombardi i modenesi dei monti a confine coi toschi. Sono uomini alti, quadrati, biondi, occhi cerulei: veri longobardi". L’illusione era poi stata ulteriormente rafforzata dallo stesso Minghelli quando nei suoi citati scritti si chiedeva, e nello stesso tempo si rispondeva: "Allora sono Balugani anche i Bronchi di Val Dragone? Ah no! Quelli, così appoggiati al macigno dell’Alpe, sono il nostro fianco sinistro e più ferrigno".

E invece no!

Pur con un glorioso passato, anche noi siamo i Balugani di qualcuno; per averne conferma bastava soltanto spaziare le letture presso i nostri cugini reggiani. Siamo Balugani ahimè, per gli abitanti della Val d’Asta nell’Appennino reggiano a circa 25 Km da Montefiorino, i quali per secoli hanno "abitato" i castagneti delle Vaglie di Casola ed i castagneti di Rubbiano, durante il periodo di raccolta ed essiccazione delle castagne. In particolare nelle Vaglie, gli Astesi erano proprietari fin dalla notte dei tempi, ed in parte lo sono tuttora, di estese superfici a castagneto: basti pensare che, come già scrissi sul libro di Casola nel 2004, dall’Estimo di Casola del 1722 risultavano proprietari di ben diciassette ettari e mezzo di castagneto (oltre 61 biolche).

Ho casualmente trovata l’importante testimonianza della nostra "Baluganesità – Sic!" leggendo la rivista "tuttoMontagna" di Reggio Emilia del 1996, che riportava lo straordinario racconto di Andrea Riotti, trascritto in appendice.

Di più: sul libro "Cosa bolle in pentola – il piacere di stare a tavola – Progetto pilota indirizzato alle classi terza, quarta e quinta elementare e alle scuole medie", edito dalla Provincia di Reggio Emilia nel 2004, oltre alla testimonianza citata del Riotti vi è anche quella, più sintetica, di Luigina Cassi che riportava: "La gente della Val d’Asta, come mio suocero, possedeva castagneti nel ‘Balugano’ (a Montefiorino) e in ottobre una parte della famiglia si trasferiva là a piedi o col cavallo per raccogliere e seccare le castagne. Ognuno aveva il suo metato che serviva anche come abitazione".

Il "Balugano", oppure "Le Vaglie" come più precisamente identifichiamo noi del posto quell’estesa area di castagneti tra Montefiorino e La Verna, è parimenti ricca di altri eventi ed aneddoti che hanno riguardato agricoltori locali ed Astesi. Ma quella è un’altra storia.

 

 

Articolo di Andrea Riotti, pubblicato su tuttoMontagna, anno 1996

Sino agli inizi degli anni ‘40 era consuetudine in Val d’Asta, ai primi di ottobre, "andare nel Balugano" (comune di Montefiorino), come si diceva da noi, per la raccolta e la successiva essicazione delle castagne.

Il motivo per cui molte famiglie astesi possedevano a Rubbiano e a Vaglie di Montefiorino, non è dato saperlo con certezza. La tradizione parla di un lungo periodo di carestia che ridusse in miseria braccianti e contadini: quindi anche i proprietari di quei terreni. Forse perché insolventi verso il fisco, vennero privati dei castagneti che così, naturalmente, andavano all’incanto. Ma i soli che poterono aderire all’offerta, data la crisi generale, furono i pastori ed i caprari della Val d’Asta, perché quelle preziose bestiole resistono alle prolungate calamità naturali per il loro modo di procacciarsi il cibo percorrendo grandi distanze o migrando; cosa che i bovini domestici non possono permettersi, specie nella stagione fredda. Un’altra fonte parla di terreni demaniali messi in vendita e acquistati dagli stessi allevatori per il motivo già esposto.

La trasferta autunnale in quel di Montefiorino era la seconda in ordine di tempo, dopo la Maremma, poiché impegnava i cosiddetti chidur (raccoglitori) per oltre un mese.

Si tornava a casa i primi di novembre per la festività dei Santi. Il 29 settembre, fiera di san Michele a Montefiorino, i proprietari di castagneti partivano in massa per rendersi conto del da farsi. Subito iniziava la rimondatura (pulizia) sotto le piante per facilitare la raccolta delle castagne.

Un rimaio del tempo, Marco Paini, così evidenziava il suo arrivo alla fiera a tarda sera e spossato dal viaggio: "Quando arrivai a Montefiorino fiera era finita, stanca era la mia vita del troppo camminar, rivai al fiume Dragone afflitto e sconsolato e quando arrivai al metato il giorno spento fu."

Quindi iniziava il lungo periodo della raccolta.

Alla sera le castagne venivano messe nel caniccio del metato per essere essiccate a fuoco lento. Per questo motivo i raccoglitori dormivano su delle tavole, al fine di evitare che una favilla potesse incendiare i loro vestiti. Si racconta che nel pieno della raccolta i castagneti fumavano come accampamenti di pellerossa, e soprattutto riecheggiavano dei canti del Maggio, tanto graditi ai Balugini. E lo stupore è scandito in queste parole: "A venir da Montefiorino al metato poi dei Riotti io rimasi stupefatto per l’armonia di quei canti".

Alla fine degli anni ‘30 io ero ancora in età scolare e ricordo di aver provato tanta invidia quando vedevo i più grandicelli partire per quella avventura che io ho soltanto fantasticato. Una volta trascorsi però alcuni giorni, stando alle testimonianze dirette, la noia assaliva quegli adolescenti perché i giorni si susseguivano monotoni, lontano dagli amici e soprattutto dalla mamma.

Per i giovanotti, invece, iniziava una nuova avventura, poiché spesso incontravano l’anima gemella. A facilitare l’approccio era l’invito che i contadini del posto facevano alla gioventù a spannocchiare montagne di granoturco durante le lunghe serate autunnali. Il loro entusiasmo portava a termine l’opera a tempo di record, coscienti che di lì a poco una fisarmonica avrebbe coronato i loro sogni.

Dopo quindici giorni di fuoco le castagne venivano levate e iniziava la fase di pulitura. Si metteva una ceppa nel mezzo e quattro persone intorno, con il relativo sacchetto di castagne. Ritmavano a turno battendo sul legno come si faceva con i cerchi per il grano. Un altro modo era quello di porle in un recipiente e colpirle con un bastone a punta dentata, in ferro, detto sgavr.

Si dice che fosse un lavoro molto duro e che mettesse a prova l’esuberanza dei giovani. Ancora oggi si racconta di sfide interminabili tra balugani e valdastrini. Ma per fortuna c’era sempre uno che girava con il fiasco della vinella a ristorarli. Finalmente il prezioso alimento veniva portato a casa con l’impiego di bestie da soma. Eppure non poteva mancare chi, passando così alla nostra leggenda, arrivò in valle con ben ottanta chili di castagne sulle spalle. Erano le bravate del tempo. Il percorso Asta-Montefiorino superava i 25 chilometri, ma la difficoltà maggiore era dovuta all’attraversamento dei fiumi Dolo e Dragone, in quanto nei mesi di ottobre e novembre sovente erano in piena, con ponti inadatti o addirittura inesistenti. A tal proposito ecco una testimonianza: "Giunsi all’osteria ‘il mulino’ di Morsiano proveniente da Rubbiano sul far della sera. A stento riuscii ad attraversare a cavallo il fiume; avevo con me la figlia maggiore dodicenne ed una sua cuginetta. La pioggia era così forte che decisi di pernottare nel locale. Ma non riuscivo a chiudere occhio per il rumore crescente del fiume. Un santo pareva mi dicesse ‘prendi le bambine e vai via’. Così feci. A nulla valsero le insistenze dell’oste perché io restassi. Il giorno dopo provai un attimo di sconcerto quando giunse in paese la notizia che l’ala dell’osteria prospiciente il Dolo ove si trovava la nostra cameretta, semplicemente non esisteva più".

Quell’uomo era mio padre. Tanti anni dopo anche io sono andato ansioso di veder quei luoghi, concretizzando la bramosia della mia fanciullezza. Il Dolo, Romanoro, Santa Scolastica, Rubbiano, Le Vaglie… Ma soltanto la millenaria Pieve di Rubbiano posta sulla via Bibulca, che conduceva gli eserciti e i viandanti al Passo di San Pellegrino, ripete imperterrita quel motivo antico. Poiché non arriva più dal metato ai bambini, quale dono regale, la mitica filza di castagne con in fondo una mela a mo' di amuleto, quando essa costituiva il trionfo dell’immaginazione e della gioia, frutto di tanta attesa.

 


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