Tradizioni della Val Dragone

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Antiche tradizioni pasquali a Boccassuolo e dintorni


 

 

Boccassuolo, anni '60, Via Crucis Vivente. 

Boccassuolo, Pasqua 2008: "graslun"

 

 

 

di Erminia Vezzelli

 


 

Boccassuolo, col suo ricco bagaglio di passato folkloristico, anche in piena era tecnologica, trova il tempo, il modo e lo spazio di rinnovarsi come la primavera e la primavera ci porta dritto alle tradizioni pasquali.
Una volta, il periodo pasquale iniziava con la fine di carnevale e l'inizio della Quaresima; i due periodi erano ben differenziati, l'uno della spensieratezza, l'altro della mortificazione, tanto da essere chiamato San Grugnone il primo giorno di Quaresima; da noi erano sentiti e fedelmente rispettati i digiuni, le veglie e pertanto non si contraevano matrimoni ed erano vietati balli, solennità, feste e musiche.
In Quaresima si faceva molto il gioco "dla ruzella", della ruzzola, oggi costruita in legno in sostituzione della forma di formaggio pecorino di un tempo, a causa del ridimensionamento della pastorizia. La ruzzola è riservata agli adulti perché si pratica lungo percorsi accidentati e richiede abilità e destrezza.
Le bambine e i ragazzi si divertivano, invece, con il gioco del "Fuori il verde", cioè a questa richiesta si rispondeva: "Verde in bocca" mostrandosi a vicenda foglioline di bosso che si tenevano appunto in bocca: chi ne era sprovvisto, ogni volta doveva un uovo sodo al concorrente il giorno di Pasqua.
Durante la Quaresima tutte le sere c'era la funzione della Via Crucis in chiesa, e i ragazzi facevano a gara nell'arrivare per primi a portare il Crocifisso e i due ceri da una stazione all'altra, mentre le bambine e le donne cantavano col sacerdote lo Stabat Mater: "Santa madre deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore!". Ogni tre anni, il venerdì santo, si rappresentava una suggestiva Via Crucis vivente, famosa come quella attuale di Frassinoro. Circa venti giorni prima della Pasqua, molte famiglie, specie quelle con bambini, usavano seminare la "veccia" per abbellire il Santo Sepolcro; per favorirne la germinazione si mettevano i semi al caldo nella stalla delle mucche, poi si passavano al buio del "tuvadell", dove si stagionavano i formaggi e i salumi, ambiente ideale perché fresco d'estate e caldo d'inverno. Pertanto "la veccia" cresceva bella, bianca e rigogliosa, al momento giusto veniva un po' diradata così da farla ricadere tutta intorno al vaso fino a ricoprirlo completamente. Le "vecce", bellamente ornate con fiori di carta colorata, erano molto apprezzate dai numerosissimi devoti che visitavano il Cristo Morto.
La Settimana Santa è particolarmente intensa: il giovedì, "legate le campane" in segno della passione, vengono sostituite dal suono o meglio, dal rumore assordante del "graslun", un grosso strumento interamente di legno, munito di battenti, azionato da una manovella che, dal campanile, segnala i momenti comunitari della giornata e che i ragazzi di una volta facevano a gara per poterlo suonare. Comunque ogni bambino, ogni ragazzo possedeva, grande o piccola che fosse, la sua "grasla" (detta raganella); questi curiosi strumenti di legno, azionati a mano, per una particolare ruota dentata, producono un suono caratteristico molto simile al gracidare delle rane e la gazzarra che per tre giorni i ragazzi creavano nelle case, per le vie del paese, costituiva un impareggiabile divertimento. L'essere sprovvisti delle raganelle, costituiva una specie di umiliazione e i genitori ne approfittavano per rabbonire i bambini, per i quali, la raganella era anche il primo e più divertente dei giocattoli. Pertanto era una gara frenetica fra i ragazzi nel possedere la "grasla" più bella, più grande, a più ruote e più artisticamente foggiata tanto che lo strumento rappresentava una forma efficiente di artigianato.
La sera del Venerdì Santo, in chiesa si cantavano il Mattutino o Salmi della Passione: un tempo vi partecipavano bravi solisti locali e la liturgia era seguita con grande devozione anche se era tutta in latino. All'altare si accendevano undici candele, quali simboli degli undici apostoli meno Giuda il traditore.
Durante la funzione veniva spenta per prima la candela al centro, poi a due a due le altre, per significare l'abbandono di Gesù da parte di tutti gli apostoli. A questo punto i ragazzi, dopo ore di attesa, potevano finalmente sfogarsi con le loro inseparabili raganelle, attuando un grande frastuono che il prete tentava inutilmente di moderare. Ma quello era un momento liberatorio fondamentale, perché, come si legge nel bel libro su Frassinoro di Marco Piacentini, si fa risalire questo uso sfrenato a una tradizione monastica vecchia di secoli, si diceva: "Fit strepitus", cioé: "Che si faccia del rumore", per ricordare le battiture di nostro Signore e la fuga dei discepoli. All'alba poi del Sabato Santo, davanti al sagrato della chiesa, avveniva la benedizione del fuoco e dell'acqua battesimale; un tempo si riempiva un grande mastello di legno, in uso per il bucato, e alla fine del rito, i fedeli attingevano acqua benedetta per i familiari che digiunando li attendevano a casa. Si ricorreva all'acqua santa per le doglie, la diarrea; veniva spruzzata negli svenimenti e nella "broda" della mucca che aveva appena partorito, favorendo l'espulsione della placenta. A metà mattina del Sabato Santo, le donne, portando con sé tutti i recipienti di rame: "paroel, caldedr, brocc, mesclin" andavano alla fontana a "sguraieu", cioè a lucidarli con la polvere "de sass matt", dal colore marron bruciato.
Si attendeva che si "slegassero" le campane dopo il segnale da quelle della Badia di Frassinoro; al loro primo squillo era come uno sciamare dalle case per correre a bagnarsi mani e viso alle fontane e ai ruscelli:si credeva che in quel preciso momento l'acqua fosse benedetta e curasse ogni forma di dermatosi; contemporaneamente i ragazzi sparavano colpi di fucile e petardi per uccidere Giuda. Riempiti i secchi lucidati, le donne "d'na volta" ne portavano fino a tre: due con le mani e uno sul capo con il sostegno del"croieu" o cercine. Finalmente ecco la Santa Pasqua, il giorno della resurrezione e il giorno delle uova, quelle cotte e variamente colorate in casa, un tempo con la fuliggine del camino, con le erbe o i fiori di campo come i crochi dello zafferano. Le uova si giocano a "coccetto" fra due o più concorrenti, in questo caso con un vero e proprio cerimoniale: si sceglie un'aia adeguata che, per le curiose e lunghe file di uova variopinte, prende l'aspetto di un giardino fiorito; dopo il rituale "par o goff", pari o dispari, per decidere chi deve dare il "coccetto", cioè il colpetto all'uovo avversario o chi deve stare sotto a subirlo, il capofila comincia a giocare con il contendente di turno fintanto che il suo uovo resiste, vincendo le uova rotte.
Un tempo, già durante la Quaresima, si sceglievano le uova per fare a coccetto: i competenti riconoscevano, anche solo al tatto, quelle col guscio più grosso, più forte e la gallina che le deponeva, a questo proposito; non erano rari gli artifici per rendere più forti le uova: colorandole o colandovi sostanze strane, tipo la pece, o sostituendo alle uova di gallina quelle di faraona dal guscio molto più resistente! I bambini assistono divertiti e, quali custodi delle uova rotte, scommettono sui fondi, cioè fanno a coccetto con la parte inferiore delle uova: le nascondono dietro la schiena per scegliere quello di destra o di sinistra, spesso l'uovo dell'uno tocca all'altro, quindi lo provano sui denti, come fanno i grandi, e "sl'é un brocc" lo lasciano perdere, il tutto in un'allegra competizione.
I bambini con le uova sode giocavano anche "a ruzzlin", cioè su un leggero pendio di prato chi riusciva a toccare l'uovo dell'altro, vinceva e, se il gioco degenerava, facevano a gara a chi le lanciava più lontano...
Il lunedì e l'Ottava di Pasqua, altre uova altre giocate, ma con molto meno partecipanti di una volta quando a sera la piazzola, teatro del "coccetto", era ricoperta di gusci colorati come una coriandolata! A Boccassuolo il gioco del "coccetto" non é mai stato interrotto ed é abbastanza praticato anche negli altri paesi della Val Dragone.
A parte, si cuocevano altre uova, una per ogni componente della famiglia, senza colorarle che, con la torta pasquale tutta infiocchettata, si portavano in chiesa per farle benedire dal parroco, al termine della prima messa; con le uova benedette non si giocava a coccetto fuori, ma solo in famiglia, a fine pranzo, come per un brindisi e si mangiavano in insalata con i radicchi amari di campo, conditi con aceto e sale a ricordare le amarezze degli Ebrei durante la loro schiavitù. Altra usanza era quella delle cosiddette e proverbiali "pulizie di Pasqua" in modo che la benedizione trovi la casa pulita e nuova entrandovi con l'ulivo simbolo di pace e pulizia interiore. Pertanto l'acqua, il fuoco, le uova, i germogli dei cereali, elementi degli antichi rituali di fertilità e rinascita della natura, rappresentano anche la resurrezione e la rinascita della vita spirituale. Il Venerdì Santo si cucinava molto il baccalà perché era giorno di vigilia, ma a Pasqua non dovevano mancare i tortellini. Infine, secondo una poetica consuetudine durata fino agli anni '70, chi rinnovava per primo l'acqua del fonte battesimale, offriva al parroco un agnello o un capretto, simboli di mansuetudine, dolcezza e sacrificio.
Qualche modo di dire: "Lung cumma na quaresma" o "L'é una quaresma". "Cuntent cumma na Pasqua". e il significativo: "l'ov l'é bun anc dop Pasqua" e il lunatico:"Pasqua elta, bassa frasca, Pasqua bassa, elta frasca", cioé la Pasqua é festa mobile perché segue le fasi lunari che presiedono allo sviluppo della vegetazione.
 


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