Tradizioni

della Val Dragone


 

 

A Boccassuolo c'era una volta il carnevale


Fonte: La Luna nuova, marzo 2012 (num. 39)

Articolo originale

 

 

Incasellato fra il Natale e la Quaresima, il Carnevale arrivava in pieno inverno quando i lavori campestri erano sospesi. A Boccassuolo, il Carnevale si festeggiava alla grande

di Erminia Vezzelli

 

Anche il destino del Carnevale ha finito per essere riciclato dal consumismo! Si è cercato di esorcizzarlo persino da un punto di vista etimologico per cui il suo nome deriva da carni vale, "carne addio" o carnes levare, "togliere le carni". Ma sarebbe stato assai difficile togliere la carne alle collettività rurali delle campagne e delle nostre montagne quando la mangiavano soltanto a Natale e a Pasqua! Pertanto si preferisce la versione di carni levamen, "sollievo alla carne", ma più che di sregolatezza, come sinonimo di spensieratezza e di una preziosa occasione mondana, fatta di ingenua, ma autentica allegria!

Incasellato fra il Natale e la Quaresima, il Carnevale arrivava in pieno inverno quando i lavori campestri erano sospesi. A Boccassuolo, il Carnevale si festeggiava alla grande. Secondo l’usanza ogni casale preparava una "mascherata". Tutta la gioventù si travestiva in dame e cavalieri, mediante costumi bellissimi conservati gelosamente da ogni famiglia. Si indossavano giacche militari rifinite di lustrini e ricamate a mano dalle donne di casa. Si utilizzavano anche elementi tipici del "Maggio" quindi elmi splendenti di ogni foggia e durlindane luccicanti che facevano andare in visibilio tutti i bambini! Era una gara nell’esibire i costumi migliori! Uno dei gruppi che primeggiava era quello dal Lamarin con bellissime ragazze, baldi giovanotti e costumi splendidi. Sull’imbrunire iniziava il giro per le case del paese. Come era consuetudine, guidavano le "mascherate": una persona "autorevole", i suonatori di fisarmonica, Vittorio ed Dulind e Iusuin d'la Casina, e il Buffone, che non poteva mancare e che ne combinava di tutti colori! I padroni di casa felicissimi di ospitare le maschere, cercavano di fare spazio spostando i mobili. Si concedevano tre balli, il primo per le maschere, gli altri due coi padroni di casa. Le danze erano ancora più gratificanti se presenziavano ragazze da marito che incuriosite cercavano di scoprire chi si celava sotto le maschere e i travestimenti. I suonatori intonavano polke, mazurke, e valzer indiavolati. All’occorrenza c’era il ballo dei "vecchi" con la frulana o le manfrine. I bambini cercavano di "intrufolarsi", ma per lo spazio ridotto, la maggior parte del codazzo rimaneva fuori. Anch’essi, a volte, si mascheravano con gli abiti tessuti al telaio dei familiari e con mascherine improvvisate di stoffe colorate. Peregrinando di casa in casa, erano giulivi nel ricevere frutta secca e dolciumi. Il paese, fra il divertimento generale, rimaneva animato fin verso mezzanotte e non di rado la nottata finiva con una festicciola da ballo in una qualche casa ospitale. In questo modo, per tutta la durata del Carnevale, una speciale "banda" di festaioli si spostava compatta da una casa all’altra per danzare in allegria. Al sopraggiungere poi dell’ultimo giorno di carnevale, tutto il paese si radunava in un’aia, quella dei Casolari, una delle più grandi e ben tenute, per assistere alla tenzone tra il Carnevale e l’imminente Quaresima. L’uno grosso, grasso, con un viso paonazzo, rappresentava la ricchezza e l’abbondanza, l’altra lunga e magra rappresentante la miseria, il digiuno, la privazione. Il fantoccio della Quaresima era veramente fantasmagorico. Rivestito con una lunga camicia da notte bianca, veniva issato su una lunga pertica mentre dalle mani penzolavano una cipolla, una saracca o un baccalà. A rappresentare la Quaresima era Mario ed Ca' ed Gianarin della famigerata classe ’99! Si formava quindi un corteo con in testa il Buffone, fra cui Dulfun da Ca' ed Tugnun, figura mitica che infondeva allegria facendone di cotte e di crude! Il Carnevale iniziava a scappare: aveva paura della Miseria, della Quaresima, la quale a sua volta lo rincorreva per rubargli la ricchezza. In questo modo fra urla e sghignazzi percorrevano tutto il paese ricevendo da bere e da mangiare in abbondanza. A giro ultimato si ritornava sull’aia per assistere a scenette divertenti, a frizzi, a burle, a sberleffi e scherzi alla gente divertita. Uno dei figuranti più spiritosi, era senz’altro Giuvannin ed Carella, il Bertoldo del paese, mentre il re per le stornellate e le quartine del maggio, era Terzo da Lamma.

Alla fine i nostri due personaggi spariscono dalla scena: il Carnevale bruciacchiato da un falò di foglie e paglia, ma anche la Quaresima scompare, perché, non essendo riuscita a raggiungerlo, si defilava tristemente mogia mogia. I nostri genitori, da buon temponi quali erano, non si arrendevano ancora, anzi a questo punto iniziava la parte più movimentata della giornata. Avveniva cioè una vera e propria "caccia all’uomo". I giovani "mascherati" inseguivano tutti quelli che non lo erano, rincorrendoli ovunque, vicino e lontano e fin dentro le case, tanto che spesso si vedeva qualcuno saltare dalla finestra per sfuggire all’inseguitore! Una volta raggiunto, si notificava il nome del malcapitato con la consumazione in vino o liquore che era disposto a pagare all’osteria. La sera, gran veglione di Carnevale a Ca’ ed Mingucc dove confluivano in massa anche dalle borgate vicine. Le ragazze, pur con le mani rovinate dai geloni, preparavano e portavano ogni ben di Dio: torte, crostate, crescenta fritta, frittelle e salsicce, mentre spettava agli uomini pagare il vino. Essendo l’ultimo giorno di Carnevale si festeggiava con gran mangiate e gran bevute!

Ma a mezzanotte in punto, nel bel mezzo dell’allegria generale, Minghin, il bisnonno dla Carla ed Finanza, suonava la campana grossa che annunziava la fine inesorabile del Carnevale e, in quel preciso istante come per incanto, tutto finiva, tutto svaniva e da quel momento iniziava la Quaresima, tempo di privazione e di digiuno. Ma una volta, specie in montagna, la penitenza durava tutto l’anno: carne solo un po’ di maiale, vitello e manzo erano sconosciuti, galline una a Natale e a Pasqua; troppo preziose erano le uova che, usate con parsimonia, servivano per comprare sale, zucchero e fiammiferi. Per cui: "Carnevale e Quaresima è sempre la medesima!". Sull’altra sponda della Vallata del Dragone, si festeggiava il Carnevale in modo pantagruelico: a Vitriola c’era l’usanza della "Crepa" che durava tre giorni da giovedì grasso; a Frassinoro e nelle frazioni si chiamava "Creparia": per due mesi si tenevano tornei di briscolate. Il giovedì grasso veniva incoronato re del paese chi aveva perso di più e si festeggiava fino al mattino con canti, balli, e soprattutto pranzi durante i quali i partecipanti si sfidavano a chi mangiava e beveva fino a "crepapelle"! Nel comprensorio di Montefiorino, specialmente a Farneta, gli abitanti, morigerati e sofisticati, festeggiavano il Carnevale con maschere lignee, richiamanti arcaici rituali magico-propiziatori, scolpite su castagno e pioppo, raffiguranti il Marito, la Moglie, la Quaresima, Sandrone, Pulonia, il Maialino e il Diavolo. Quest'ultima era la maschera preferita ed indossata dallo stesso suo creatore: Ultimio Fantini, un vero artista del legno e grande animatore delle carnevalate che culminavano dal giovedì al martedì grasso.

Chissà se lo spread, il welfare e il PIL del 2012 ci porteranno a riesumare le antiche tradizioni del Carnevale. Si tratterebbe di far rivivere con la legittimazione temporanea la trasgressione collettiva...

Saluti carnevaleschi a tutti.
 


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