Enes Ljesnjanin

 

 

Un uomo senza sangue muore, no?

 

 

Come spesso accadeva, mi ritrovavo quasi frastornato, in silenzio, ad osservare il tramonto, seduto su quella vecchia panchina arrugginita. Tra sogni e balzi nella realtà non comprendevo se il sole fosse alla sua nascita o alla sua morte. Non comprendevo se io ero alla mia nascita o alla mia morte.

Dondolavo lentamente i piedi nel vuoto. Se qualcuno avesse potuto essere lì con me in quel momento avrebbe certamente detto che ero tranquillo ed esprimevo serenità. Ne sono convinto. Chi non associa il cadenzato dondolare dei piedi nel vuoto a una sensazione di gioia?

Abbozzavo un sorriso ironico, forse un po’ falso; stringevo il bordo della panchina, mentre mi divertivo a stendere i gomiti di entrambe le braccia facendo leva sui palmi delle mani, per vedere quanto potessi estenderli. Mi sentivo soddisfatto.

Sì.

Se qualcuno avesse potuto essere lì, avrebbe certamente detto che ero soddisfatto. La mia espressione era inequivocabile.

Sentii proprio allora uno sfrido accarezzarmi l’orecchio destro. Rimasi fermo. Avevo paura di girarmi. Magari era stato solo uno scherzo del vento.

Dopo pochi attimi successe nuovamente, ma questa volta mi si accapponò la pelle.

Pareva quasi che qualcuno avesse graffiato con le unghie su di uno specchio proprio di fianco al mio orecchio.

Era certamente qualcuno che lottava. C’era una guerra in atto. Lo specchio era andato in frantumi. Io mi sentivo rabbrividire. In sottofondo pareva emergere un lamento di un adulto.

Era un lamento acido, a voce bassa, un po’ rosso a dir la verità, sebbene se avessi dovuto descriverlo a terzi l’avrei certamente descritto come grigio.

Qualche istante dopo, il silenzio. Non una mosca volare. L’unico rumore che in realtà mi creava piacere era l’incalzante muoversi dei miei piedi.

Passò un istante in cui mi sentii al sicuro. Esatto: un istante. L’istante dopo sentii una mano appoggiarsi sulla mia spalla destra.

Non mi voltai.

Ma la pressione non pareva essere tanto energica, non c’era di che avere paura.

Al mio orecchio fu sussurrato qualcosa. Era una voce animalesca, quasi roca. Non badai molto alle parole, ricordo solo che un attimo dopo ero al suolo. Scaraventato.

Sapevo che non avrei dovuto permettergli di lasciarmi la mano sulla spalla.

Tentai di rialzarmi, ma mi colpì all’addome con un calcio prima, e con una ginocchiata poi.

Non ero in grado di parlare, né tanto meno di rialzarmi.

Il colpo successivo mi fu sferrato al volto.

Ero inerme.

Mi risvegliai con una mano sulla spalla. Era la stessa mano che si era appoggiata a me qualche tempo prima. Feci per allontanarla immediatamente, ma ancor prima di poterla sfiorare fui colpito al volto dalla mano stessa.

Era la fine. Non riuscivo a reagire. Restavo a terra sanguinante.

Un uomo senza sangue muore , no?

No.

Un uomo che crea castelli illusori composti da mura di pensieri e da portoni senza chiave muore.

Un uomo muore quando per paura di perdere tutto ciò che ha avuto fino a quel momento, decide di non saltare, decide di guardare il cielo a braccia conserte, decide che il buio della propria ombra sia il posto più sicuro in cui stare, decide di fermarsi.

Un uomo muore quando decide che il meglio ci sia già stato, e quando a decidere per lui sono gli altri.

Un uomo non muore quando viene colpito al volto. Muore quando viene colpito alle gambe. Muore quando viene colpito alle ginocchia. Muore quando anziché alzarsi decide di stare seduto.

Muore quando arriva a non desiderare. Muore quando è ossessionato dal giudizio degli altri, ma non di quello che lui ha di se stesso. Muore quando, tra cento volti, sceglie di guardarne uno solo. Muore quando sceglie di non scegliere.

Muore quando ha gli occhi sbarrati e le labbra asciutte. Muore quando preferisce l’artificio alla natura. Muore quando preferisce la certezza all’incertezza.

Io continuavo a dondolare i mei piedi sulla panchina con aria soddisfatta.

L’uomo non è immortale, ma è in grado di sopravvivere alla morte.